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Intervista a Pietro Garinei

print19 febbraio 2004 17:24
(AGR) Pietro Garinei>

di Pucci Davoli>

In un’epoca come quella attuale, di uomini come lui, purtroppo, non esiste quasi più traccia. "Lui" è Pietro Garinei, praticamente il re della commedia teatrale italiana.

"Regno", il suo, condiviso per anni con il mai dimenticato Sandro Giovannini con il quale costituì, per decenni, il binomio d’acciaio del teatro italiano; binomio che, come l’acciaio, non ha mai conosciuto flessioni e che, nonostante la morte di Giovannini, non si è ancora spezzato ( Garinei, a distanza di anni, dice ancora "noi", mai "io").

Anche se il suo nome ruota ormai da 60 anni nell’ambito della scena teatrale italiana, quasi nessuno conosce il suo viso, né, tantomeno, la sua storia. Di interviste, nell’arco della sua vita, ne ha co ncesso pochissime. A me è capitato per caso, qual che tempo fa, al "Nuovo" di Verona durante le prove di " E se all’improvviso", una sua commedia che l’indomani sarebbe andata in scena in prima nazionale..

Avevo appena finito d’intervistare Gianfranco Jannuzzo, uno dei suoi attori preferiti, e stavo già andando via quando … eccolo lì, sul palcoscenico pieno di operai indaffarati a montare le scene, seduto calmo e tranquillo su un divanetto, parte integrante della costruenda scenografia. Un lampo! Retromarcia e …

Ha qualche minuto?

Per fare che?

Soltanto parlare. Non è cosa di tutti i giorni incontrare un mostro sacro come lei.

Veramente più mostro che sacro – ci risponde sorridendo – Ma si accomodi, la prego.

Il ghiaccio era rotto.

Giovannini era, come lei, un giornalista sportivo. Scrivevate in due testate diverse. Com’è nata la vostra collaborazione?

E’ una lunga storia. Deve sapere che io in realtà sono, o, per meglio dire, ero farmacista.

Laureato in farmacia?

Sì, per antichissima tradizione. La mia famiglia ha sempre avuto, sin dal 1595, una farmacia. E’ ancora lì, a S. Silvestro, nel centro di Roma. Negli anni 40’ stava aperta tutta la notte e, siccome a due passi c’era la sala stampa dove i giornalisti di tutte le testate d’Italia andavano a lavorare, di notte la farmacia diventava il luogo d’incontro di gente come Flaiano, Age, Scarpelli, i quali, scendendo giù, passavano da me a bere un bicchierino.



Come, un bicchierino. In farmacia?>

Oggi è un altro mondo, lo so. Ma ieri si entrava in farmacia anche per prendere dei liquorini speciali, degli elisir amorevolmente preparati dal farmacista.

Che, in questo caso, era lei …

Il mio compito era quello di mescere elisir a questo popò di gente che, quasi sempre, si fermava a parlare di teatro. E così, ascolta oggi e mesci domani, cominciai a coinvolgere anche Giovannini in queste dissertazioni notturne.

Quindi, in un certo senso, è stato lei a "traviare" Giovannini?

Sandro era famoso per degli splendidi reportage ssul ciclismo. Io l’ho solo convinto a scrivere di "altro".

Praticamente, la sua, più che una farmacia, era dunque una fucina d’idee …

Non solo. Eravamo in guerra e quella ben presto divenne il ricettacolo di gente da nascondere. Non immagina neanche di quanti "dottori", di quanti camici bianchi fosse dotata la mia farmacia in quel periodo.

Si ricorda la prima commedia scritta insieme?

potrei mai scordarmene? S’intitolava "Sono le sette ( l’inizio del coprifuoco, ndr ) e tutto va bene". Ma non fu mai rappresentata. La seconda invece, anche se mutilata dalla censura, fu un gran successo. Si intitolava "Cantachiaro", e la scrivemmo insieme a Franco Monicelli , il fratello di Mario.

I suoi primi attori?

Furono Ninchi, Viarisio, Barnabò e, più avanti, sarebbero arrivati Anna Magnani, Massimo Serrato, Marisa Merlini, Lea Padovani

Qui ci sarebbe da scrivere un’enciclopedia.

Una per tutti: Anna Magnani. Che ricordo ha di lei?





Una donna straordinaria, una forza della natura sia come attrice che, soprattutto, come donna.

Ha mai pensato, dopo la morte di Giovannini, di dire "basta"?

Certo che sì, e per svariati motivi: l’inutili tà, la paura di non farcela... Mi hanno però rincuorato e stimolato tutti, specialmente i parenti di Sandro Ed eccomi ancora qui.

Garinei & Giovannini scrivevano a quattro mani.

Come facevate ad essere sempre d’accordo sull’impostazione, sul prologo e, soprattutto, sul "finale" della commedia?

E infatti, spessissimo, non eravamo d’accordo per niente. Ci animavamo così tanto che, alla fine, ci scordavamo quasi sempre le reciproche tesi sostenute inizialmente, e così finiva che poi ognuno si ritrovava a sostenere la tesi dell’altro, e si ricominciava daccapo.

Le capita, adesso che Giovannini non c’è più, di ritrovarsi ogni tanto, mentalmente, a discutere con lui, come se ancora fosse presente accanto a lei?

Imperdonabile, da parte mia, questa domanda.

Garinei, superbamente fiero, sichiude orgogliosamente in un silenzio sfociante solo dopo qualche secondo in queste brevi parole:

Non le risponderò. E’ una cosa troppo privata della quale non mi sento assolutamente di parlare.

Sembra una risposta dura, ma è dolce, invece. Sia la risposta che lo stesso Garinei, nell’enunciarla.

"A dottò, si nun je spiace, ce servirebbe o spazio suo. Si nun l’ha ancora capito, se ne deve d’annà.">

Sono gli operai e anche loro, giustamente, hanno le loro esigenze.

Ecco, era finita così, ricordo, per "motivi tecnici", la nostra informale chiacchierata. Avevo fatto però ancora in tempo a chiedergli:

Ha mai considerato di metter su una commedia prendendo a spunto quella sua antica farmacia?

A dir la verità non ci avevo mai pensato, ma non si sa mai. E, se la cosa va in porto, vorrà dire che prenderemo insieme un bicchierino di elisir.

Mesce lei?

Chi altri, se no?

Pucci Davoli>

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