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Gli incendi sono figli del riscaldamento globale: servono nuove strategie di prevenzione

La battaglia contro il fuoco

printDi :: 17 agosto 2022 13:39
La battaglia contro il fuoco

La battaglia contro il fuoco

(AGR) Gli incendi sono, di per sé, accadimenti negativi sotto tutti i punti di vista. Persone, strutture e infrastrutture sono quelle che, in caso d’incendio, corrono i rischi maggiori. Nel tempo si è sempre ritenuto, a ragione, che gli incendi fossero provocati da cause naturali – alte temperature, clima arido e siccità - o dall’uomo. Le incredibili ondate di caldo che hanno caratterizzato questa estate fanno propendere per l’innalzamento della temperatura come causa principale degli incendi, in una percentuale che potrebbe sfiorare il 90%, lasciando il restante 10 % alla mano dell’uomo. Nei fatti: al di là dell’Atlantico, in America del nord, USA e Canada sono da tempo alle prese con i devastanti megafire che periodicamente scoppiano qua e là. In Centro e America del sud, almeno per ora non sono stati segnalati incendi di altrettanta intensità. Guardando verso oriente, dalla Siberia, dal Libano e dal Kuwait arrivano notizie di incendi con conseguenti crolli di infrastrutture. In Europa, scorrendo i dati forniti dall’European Forest Fire Information (EFFIS) si vede come lo spaventoso flagello delle fiamme abbia colpito senza pietà un po’ dappertutto, uccidendo persone e animali, mandando in fumo colture, strutture e sovrastrutture. I dati dell’EFFIS segnalano che tra gennaio e luglio di quest’anno, nel nostro continente è andata bruciata un’area più grande della Val d’Aosta: 346mila ettari (contro i 326mila della regione). Il dato, se messo a confronto con la media degli ultimi 16 anni, 110.350 ettari bruciati ogni anno, diventa allarmante.

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L’elenco dei paesi colpiti dagli incendi è piuttosto lungo e comprende membri dell’Unione Europea e dell’Europa dell’est. La Romania, con 149mila ettari bruciati e 735 incendi, è il paese più colpito. Seguono, a diverse lunghezze ma con comunque ragguardevoli numeri, gli altri paesi. Relativamente al numero degli incendi scoppiati nello stesso periodo, gennaio/luglio, ai 735 della Romania seguono i 277 della Spagna, i 221 della Francia, Italia a 204 seguita da Croazia con 134, Portogallo con 126, Bulgaria con 50 e Ungheria con 44. La messa a confronto delle medie registrate da gennaio a luglio di quest’anno con quelle registrate nello stesso periodo degli ultimi sedici anni mostra che, nei paesi colpiti, in generale esse sono raddoppiate o triplicate. Siamo di fronte a dati che non esitiamo a definire allarmanti. Rattrista ancor di più il fatto che, a tutt’oggi, né le misure di prevenzione né i tanti strumenti che, nel corso dei secoli, l’uomo ha inventato per combattere gli incendi, sembra siano valsi a debellare questa calamità. Neppure il supporto tecnologico fornito dai sei satelliti ‘Sentinel’ della rete Copernicus, che, tra le altre cose, sembra abbiano la possibilità di individuare le aree a rischio incendio, pare sia servito a gran che. In pratica, tecnologia avanzata o meno, appare chiaro che l’uomo è tuttora impotente quando si trova a combattere la furia devastatrice del fuoco. Di questo scenario, rosso fuoco diremmo, non ancora apocalittico, ma certo non idilliaco, soprattutto se quelle medie appena accennate dovessero confermarsi o, peggio, salire, prospettando un prossimo futuro autenticamente catastrofico per il nostro pianeta, fa parte anche la nostra amata Italia.

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In passato, nel nostro paese non c’è stata estate che non abbia avuto i suoi incendi, ora divampati per cause naturali ora per mano dell’uomo. Si potrebbe dire che, leggendo di incendi o vedendone immagini, la gente, alla fine, non ci faceva più caso. Quest’anno, in Italia, il fenomeno incendi ha assunto proporzioni inimmaginabili per l’insolita frequenza con la quale sono divampati. Abruzzo, Sardegna, Sicilia centrale sono le regioni più colpite e la conta dei danni non è ancora definitiva. Anche Roma ha avuto le sue giornate di fuoco. Praticamente, nessuna zona dell’Urbe e della sua provincia l’ha passata liscia.

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Degli incendi divampati a Roma intorno al 30 giugno e nei giorni seguenti “sette dei nove roghi sono avvenuti nei tre municipi interessati dalla futura costruzione di impianti per i rifiuti” (fonte; Agenzia Nova). In breve: a Roma ovest incendi hanno colpito Aurelio, Massimina, Casalotti; Cesano Cassia, Parioli a Roma nord; Eur, Ardeatina, Trastevere, Tor Carbone, Tor Pagnotta, Ostia a Roma sud; Lunghezza a Roma est. In termini di mobilità e di salute gli incendi hanno provocato non pochi disagi ai cittadini. Il vento ha sospinto le polveri verso Trastevere, Tritone, Flaminio, Prati, provocando danni alle persone. Emblematico quello di Centocelle dove i valori per le diossine e benzopirene sono andati ben oltre quelli di riferimento e non ultimo quello verificatosi  il 6 agosto nel X Municipio, ad Acilia Nord, dove un intero quartiere è stato sommerso dalle polveri.

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Non essendo possibile prevedere il chi, come e quando degli incendi, e facendo tesoro delle esperienze precedenti in sede di prevenzione degli incendi, la precedente amministrazione Raggi ha optato per l’ordinanza del sindaco n.115, emessa in data 12 giugno 2020, avente per oggetto “Dichiarazione dello stato di massima pericolosità per rischio di incendi boschivi”, che, ricca di divieti e obblighi, ordinava “Agli interessati” di “realizzare una fascia parafuoco di ampiezza non inferiore a 5 metri… ed altresì sgomberare da covoni di grano e/o altro materiale combustibile terreni su cui si trovano stoppie… terreni coltivai a cereali… terreni incolti” e “di provvedere, al fine di evitare il possibile insorgere e propagarsi degli incendi… alla conversione all’alto fusto del soprassuolo… alla potatura delle piante arboree fino ad 1/3 della loro altezza, al taglio periodico della vegetazione erbacea… all’allontanamento del materiale legnoso abbattuto…” e poi, in chiusura, l’ordinanza avvisava che “La mancata osservanza degli obblighi e dei divieti sopra indicati, comporterà l’applicazione delle sanzioni già previste dalla legislazione vigente, ed in particolare:…”. Le pene andavano dalla reclusione a sanzioni pecuniarie.

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In data 3 giugno 2022, arrivava un’altra ordinanza, stavolta emessa dal sindaco Gualtieri, avente, più o meno, lo stesso oggetto “Applicazione delle misure di prevenzione in vista del periodo di massima pericolosità per gli incendi boschivi. Periodo 15 giugno – 30 settembre 2022”, che però si differenziava dalla prima solo per la differente disposizione dei paragrafi… Non dubitiamo che quanto ordinato nelle due ordinanze sia stato eseguito dagli ubbidienti cittadini romani, ma il punto è un altro, parlerei addirittura, di nuove e diverse “filosofie di gestione” per prevenire e combattere gli incendi, perché per lo sterminato territorio di Roma non basta mettere tutto su carta. Certo, le ordinanze servono ma poi bisogna passare dalla teoria alla pratica, instaurare prassi costanti e controllare che queste vengano poi rispettate.

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Al momento, abbiamo invece notizia che “anche i residenti (tra via della Pisana e via del Carafa ) scendono in strada con secchi d’acqua per domare le fiamme” (La Repubblica, 22 giugno 2022) e, in sede di attività della burocrazia regionale, arriva la notizia che “La Regione Lazio si è persa 18 mezzi speciali per l’antincendio” (Fonte: Affari italiani.it – 12 luglio 2022). L’articolo che segue è oltremodo istruttivo ma non svela il mistero di come sia possibile che “l’Agenzia Regionale della Protezione Civile attende da 3 anni la consegna di 18 mezzi speciali allestiti per le emergenze antincendio e neve e 64 pick up… una gara indetta 3 anni fa e neanche un mezzo consegnato, nonostante il tema antincendio sia di stretta attualità…”. Una vicenda per certi versi comica, ma mica tanto… Ma se queste sono le ‘misure di prevenzione antincendi e neve’, ragazzi, c’è da sperare che non scoppino più incendi o nevichi per un bel pezzo… Nell’incredibile, continuo e deleterio susseguirsi degli incendi che, praticamente dalla primavera scorsa, hanno devastato e continuano a devastare vastissime aree del nostro pianeta, è possibile che, da parte delle tante opinioni pubbliche, ci sia stata una larga presa di coscienza sulle cause, sul come e perché quegli eventi letali abbiano potuto verificarsi in una così breve e rapida sequenza e, di conseguenza, sulle responsabilità umane, ormai talmente evidenti da risultare impossibili da nascondere, su quei funesti accadimenti.

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Larga presa di coscienza che, in qualche misura, potrebbe essere possibile giustificare in cittadinanze che per via di una certa, a volte naturale, consolidata pigrizia mentale, sono poco avvezze o inclini ad informarsi, ad aggiornarsi su ciò che accade, o potrebbe accadere, oltre la porta di casa loro, preferendo rilassarsi seguendo l’avvenimento sportivo in programma o una delle tantissime serie televisive di tutti i generi, generosamente sfornate a getto continuo da questo o quel network. Piuttosto, si intuisce che nel mantenere alto il livello di disinformazione sul martirio che, quotidianamente ormai da decenni, la Terra subisce per colpa della razza umana, gran parte delle responsabilità devono essere ascritte alla medialità in quanto padrona assoluta dell’informazione e della sua gestione in ogni angolo del nostro pianeta. Nell’orientare i fruitori verso argomenti meno impegnativi, in gran parte del tutto avulsi dalla realtà, marginali se volete, distogliendone l’attenzione da tematiche ben più importanti, quali potrebbero essere, ad esempio, quelle del riscaldamento globale e delle strategie della decarbonizzazione, della ricerca di fonti di energia alterative e quant’altro, la medialità ha giocato il ruolo più importante non informando o limitandosi a buttare lì lanci d’agenzia senza approfondire adeguatamente o, peggio, disinformando con pareri, raccolti qua e là, di presunti ‘esperti’, gente cioè che al massimo può leggere le previsioni del tempo senza andare oltre.

La battaglia contro il fuoco incendio a ridosso delle abitazioni - Acilia Nord

La battaglia contro il fuoco incendio a ridosso delle abitazioni - Acilia Nord

Mi spiego: se i media non ne parlano o non si vedono immagini, cosa posso saperne io, semplice telespettatore o ascoltatore che si beve tutto dei telegiornali e giornali-radio, considerandone l’attendibilità dei contenuti al livello dell’oracolo di Delfi, se non proprio a quello di ben più importanti scritture? Chi mi racconterà mai qualcosa del pauroso incendio del 2019 di Bowraville, Nuovo Galles del Sud, Australia o dei megafire che nel 2021, replicati nel 2022, sono divampati in USA (500mil mila ettari di terreno bruciati), in Canada, in Siberia e delle migliaia di ettari di territorio, boschi, uliveti, campi coltivati andati a fuoco in Abruzzo, Sardegna, Sicilia Centrale? Solo in questi ultimi mesi, visto che la cosa, cioè gli eventi atmosferici negativi, si ripetevano con una frequenza mai registrata prima, la medialità ha trovato lo spazio nei suoi notiziari per trattare di questi argomenti, mostrarne immagini e dibatterne. E allora ecco che se ne sa più dettagliatamente sulla Francia che combatte contro gli incendi da mesi ma non riesce a vincere, tant’è che è stata costretta a chiedere aiuto, di vaste aree dell’Inghilterra del sud dove non piove da tempo, delle tonnellate di pomodori e di uva quasi marcite a causa della siccità, degli incendi che sono divampati a Roma e hanno devastato altre zone del nostro bellissimo Paese e via proseguendo.

La battaglia contro il fuoco

La battaglia contro il fuoco

L’allargamento degli spazi televisivi ai fenomeni legati al riscaldamento globale va salutato positivamente, naturalmente. Il decidere, da parte dei media, di dare maggiore risalto a quegli eventi, corredandone il parlato con una considerevole dose di foto e filmati, oltre a far risalire il livello della sua credibilità – non poche volte messa a dura prova da notiziari incompleti, tirati via a velocità pazzesca da speaker che sembrano ignorare punti e virgole, sicché quei notiziari risultano essere nugoli di parole senza capo né coda, incomprensibili per tantissimi telespettatori - l’inversione di rotta, cioè la concessione di spazi discretamente ampi a quegli accadimenti, ha fatto sì che buona parte delle opinioni pubbliche del nostro pianeta siano ormai adeguatamente informate sui fenomeni atmosferici negativi che stanno accadendo sulla Terra. Tuttavia, il pubblico più sensibile a quelle tematiche, quello che ne segue l’evoluzione ormai da tempo, si chiede perché quei fenomeni atmosferici negativi che da decenni imperversano sul nostro pianeta, siano stati fatti esplodere dalla medialità solo in questi ultimi mesi: cosa ha impedito la diffusione delle notizie sul loro verificarsi, che di sicuro avrebbe avuto come conseguenza un impatto il cui fall out sulle tante opinioni pubbliche planetarie sarebbe stata una generale messa sull’avviso non solo del singolo cittadino ma anche delle singole amministrazioni.

La battaglia contro il fuoco

La battaglia contro il fuoco

“Ma siamo davvero sicuri che, se non prevedibili, i roghi immani che accompagnano questa estate non potessero essere adeguatamente contrastati fino allo spegnimento delle fiamme?” è la domanda che, in tantissimi, cominciano a porsi, alla quale, purtroppo, al momento sembra difficile dare la risposta giusta. A suo tempo, quando cioè i fenomeni atmosferici hanno cominciato a verificarsi con una certa, inusuale frequenza qua e là sul nostri pianeta, accanto ad un’informazione in merito, portata avanti in modo deciso dalle varie amministrazioni, cioè per quanto nelle loro possibilità e disponibilità, avrebbe dovuto marciare un ben altro tipo di informazione dettagliata e propositiva, che invece di relegare quegli eventi a semplici fenomeni locali e/o di stagione, avrebbe dovuto realizzare trasmissioni ad hoc, con dibattiti, inchieste, interviste di addetti ai lavori, sui temi scottanti, è proprio il caso di usare questo termine, legati al cambiamento climatico. Quel fare avrebbe dovuto essere realizzato già da quando il Club di Roma individuò i problemi legati al cambiamento globale, che l’umanità si sarebbe trovata ad affrontare nel futuro, analizzandoli in un contesto mondiale e cercando condizioni adatte ad ogni scenario.

La battaglia contro il fuoco quello che resta dopo le fiamme

La battaglia contro il fuoco quello che resta dopo le fiamme

E’ l’anno 1968 e quanto elaborato da quel club fondato da Aurelio Peccei, imprenditore, e Alexander King, scienziato scozzese, ai quali si unirono scienziati di tanti altri paesi, risulta essere oggi di eccezionale attualità: grafici, statistiche e previsioni quasi profetiche sul cambiamento climatico sono incredibilmente esatti. Ma quanto prodotto da quel ‘cenacolo di pensatori’, anche in termini di consigli e suggerimenti alle varie amministrazioni è praticamente rimasto lettera morta. Né, per quanto se ne possa sapere, sta avendo miglior fortuna la Risoluzione adottata dall’Assemblea Generale dell’ONU il 25 settembre 2015. Suddivisa in 17 punti, i suoi obbiettivi sono tutti nel titolo: ‘Trasformare il nostro mondo. l’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile”. Se ne suggerirebbe la lettura. Amministrazioni egoiste legate a precisi interessi di bottega, ma soprattutto sistemi economici ormai obsoleti che prendono a modello sia l’economia di mercato sia l’economia pianificata, a tutt’oggi sembrerebbero frapporre ostacoli al raggiungimento degli obbiettivi posti e proposti dall’Agenda ONU 2030. Specie la realizzazione degli obbiettivi dal 13 al 17, relativi all’ambiente in generale, alla sua salvaguardia, al suo miglioramento e al suo sviluppo armonico. 

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